sotto una buona stella

Sotto una buona stella, di Richard Yates

Un altro capitolo di realismo americano

Ormai lo avrete capito: io amo Yates e ve ne parlerò il più possibile. Oggi vi presento Sotto una buona stella (ed. 2014), l’ultimo in ordine cronologico nella collana classics di Minimum Fax, che narra la storia di Robert Prentice e di sua madre Alice, due personaggi non nuovi nella letteratura di Yates perché il primo è già presente in uno dei racconti della raccolta Undici solitudini, la seconda invece ricomparirà, sotto altro nome, in Una buona scuola.

Il romanzo si apre con una prima ambientazione nel 1944 quando Bobby approfitta della sua ultima licenza per andare a salutare la madre a New York, prima di imbarcarsi per l’Europa dove andrà a combattere nella Seconda Guerra Mondiale. Qui conosciamo subito i tratti fondamentali di Alice e ritroviamo la costante in Yates della madre fallita, infelice e insoddisfatta. L’appartamento in cui vive rispecchia lo squallore della vita che Alice tenta di nascondere indossando il suo vestito “migliore” e facendosi portare fuori a cena da “un bel soldato”. Robert prova evidente fastidio nei confronti della madre logorroica che tenta in tutti i modi di darsi un tono e continua a spacciarsi per artista, nonostante i continui fallimenti subiti negli anni dicano tutto il contrario, ma si aggrappa all’innato affetto nei confronti del suo unico punto di riferimento che, in contrasto con il contorno della casa, gli ha comunque fatto trovare nel letto le lenzuola fresche e pulite. Trascorre così l’ultima notte a New York a cui seguirà un dolce risveglio e un commovente saluto alla madre.

Ma come ha fatto Alice ad arrivare a quel punto? Tutto è iniziato con il divorzio dal marito e la conseguente odissea per il povero Bob che subirà diversi trasferimenti e traslochi a causa dell’inseguimento dei sogni di gloria di Alice nel mondo dell’arte. L’ingenuità della madre di fronte alle occasioni che le presenta la vita provoca subito tenerezza, ma poi è inevitabile provare fastidio per un personaggio ignaro della propria mediocrità ed egoista al punto di sacrificare il futuro del figlio pur di continuare la sua scarsa attività di scultrice. Come sempre Yates è spietato e non si trattiene nel descrivere a fondo i dettagli dei luoghi e dei personaggi che li abitano; nel caso di Alice la miseria della sua condizione è fatta di cenere di sigaretta, bicchieri di whisky e cene a base di minestra e sardine, ma soprattutto dall’inadeguatezza del suo comportamento in pubblico e dalla testarda illusione di poter emergere nonostante si ritrovi costantemente faccia a faccia con la triste realtà dei debiti.
La testardaggine nell’affrontare le situazioni scomode si ritrova anche in Robert i cui rapporti con i suoi commilitoni sono spesso impacciati e gli provocano una collezione di brutte figure, tuttavia non gli impediscono di affezionarsi ad alcuni compagni e di interpretare il suo ruolo di soldato. Nonostante la sua goffaggine riuscirà, inspiegabilmente, a cavarsela e a uscire da questa triste esperienza con una polmonite.

Ed è proprio qui che Yates si scatena e sfodera un finale emotivamente violento: la verità sul rapporto tra Alice e il padre aprirà definitivamente gli occhi a Robert e lo porterà ad agire di conseguenza nei confronti di una madre che lascia la scena indossando un accappatoio strappato e tenendo in mano un fedele bicchiere di whisky.
Ecco a voi il realismo americano, ecco a voi Richard Yates.