Il film del libro, il libro del film: chi vince?

Dal testo al film: la “carta da film”

C’è un argomento che è sempre particolarmente in voga fra gli amanti della lettura: la versione cinematografica del libro.

La classica affermazione del lettore forte di fronte all’entusiasmante recensione di un film è spesso spietata con uno spiazzante

Sì, ma il libro è meglio

Per quanto riguarda la mia esperienza posso affermare quasi con certezza che le tesi dei lettori forti sono spesso confermate: difficilmente un film riesce a superare il libro. Questo credo sia dovuto proprio dalla modalità di fruizione stessa dello spettacolo: chi ama leggere prova un piacere personale nella lettura, vive la storia a modo suo e impara a conoscere i personaggi così come essi stessi si sono manifestati nella sua mente. Per quanto un lettore possa essere anche un grande cinefilo, comunque non riuscirà a vivere l’esperienza del film con la stessa intensità con cui la lettura lo ha coinvolto, e questo per un motivo fondamentale: l’appassionato di lettura, quando esce il film, quasi certamente ha già letto prima il libro.

Non lo guarderò mai perché non potrà di certo essere meglio del libro

Nonostante, dopo molte scottanti delusioni, mi sia data la regola di non rivivere più una storia nelle due differenti versioni, persevero e mi lascio spesso attrarre dai film di cui ho letto il libro, approcciandomici comunque con la consapevolezza che il film, appunto, non sarà mai bello quanto il libro.

 

Le mie più grandi delusioni

A prescindere dalla bravura degli attori che li hanno interpretati, le mie più grandi delusioni sull’argomento nelle quali il margine fra il giudizio sul libro e quello sul film risulta abissale sono state: La versione di Barney e Pastorale americana.

Ho amato Barney alla follia e ancora di più quando ho scoperto che, sul grande schermo, sarebbe stato interpretato da Paul Giamatti. Ho trascinato al cinema quello che ai tempi era il mio fidanzato e che, nonostante quell’appuntamento, è poi diventato mio marito e padre dei miei figli, rassicurandolo che La versione di Barney era tratto dal mio libro preferito di sempre, un capolavoro, una storia amata da tutti. Mi ha rinfacciato per diversi mesi quella serata e, mio malgrado, ho dovuto dargli ragione anche se, una volta poi visto e rivisto in televisione, abbiamo iniziato entrambi ad apprezzarlo perché ecco, forse, La versione di Barney – il film ha bisogno di tempi diversi per coglierne davvero l’essenza.

Che dire, invece, di American Pastoral? Il film uscito nel 2016, che vede protagonista Ewan McGregor (che è pure il regista) nei panni di Seymour “lo svedese” Levov insieme a una strepitosa Dakota Fanning (che interpreta la figlia terrorista Merry Levov), non poteva che essere un fallimento proporzionato alla grandezza di questo capolavoro di Philip Roth. McGregor è un ottimo attore (leggi più avanti) e il film si può guardare, certo, ma chi ha letto prima il libro come può pensare che quelle due ore di visione siano minimamente paragonabili alle giornate trascorse in compagnia della prosa di Roth?

I film più belli del libro

Succede anche che ci siano storie che, riportate al cinema, superino notevolmente la loro versione su carta: un esempio da manuale è senza dubbio Il diavolo veste Prada, ma ci piace vincere facile perché Meryl Streep è dotata di parecchi superpoteri fra i quali non tanto recitare, quanto trasformarsi nel personaggio stesso che deve interpretare. Se al suo fianco ci aggiungiamo un altro attore camaleontico del livello di Stanley Tucci e un’azzeccatissima Anne Hathaway, il gioco è fatto.

Quando il film ce l’ha fatta

Ci sono poi chiaramente le eccezioni e risulterò certamente banale citando Shining. Quando ho conosciuto Jack Torrance per la prima volta in vita mia ero bambina (chiamate pure gli assistenti sociali, grazie) e ricordo di essermi fatta la pipì addosso in salotto perché avevo paura a percorrere il corridoio per raggiungere il bagno. In età adulta ho rivisto questo capolavoro di Stanley Kubrick svariate volte e, seppur io sia poi riuscita a raggiungere il controllo delle mie minzioni, ho sempre – ripeto sempre anche se magari in momenti diversi della storia – provato quella sensazione di brividino che ti percorre lungo tutta la schiena. Con la lettura del libro non mi è capitato di farmela addosso, ma delle due volte che l’ho letto, non sono mai riuscita a farlo di sera da sola: ricordo la lettura di Shining (nell’edizione vecchissima dei miei genitori con il titolo originale Una splendida festa di morte) nei periodi di pendolarismo all’università quando trascorrevo diverse ore in compagnia del gregge sui treni regionali dove l’isolamento da Overlook Hotel era pressoché improbabile (più probabile forse l’aggressione con ascia).

Dal testo al film: la “carta da film”

Ma avete mai provato a immaginare come potrebbe essere il passaggio dalla carta al film? L’agenzia torinese di editoria e comunicazione Ricamo editoriale e la Compagnia GenoveseBeltramo hanno ideato “Carta da film”, un’esperienza a cavallo fra cinema, letteratura e teatro che parte dalle immagini in movimento e risale fino alla fonte da cui sono scaturite, appunto la “carta da film”. E hanno messo in scena proprio uno degli esempi più riusciti di trasposizione cinematografica di un romanzo.

L’esordio di Carta da film si è, infatti, tenuto il 19 gennaio presso Spazio Opi (Corso Casale, 46 – Torino) con Trainspotting, il film diretto da Danny Boile uscito nel 1996 e tratto dal romanzo del 1993 di Irvine Welsh. E, per quanto mi riguarda, il film che nella mia vita rappresenta il “passaggio” perché dopo Mark Renton la mia adolescenza non è stata più la stessa.

Carta da film è quindi una buona occasione per avvicinare libri e film e per superare gli scetticismi che noi lettori (ammettiamolo, siamo noi) proviamo nei confronti dei “barbari” che si esaltano alla visione di una storia che noi abbiamo già amato su carta stampata.

“Nasce dalla volontà di unire il mondo della letteratura a quello dell’arte recitativa, combinando queste due forme di comunicazione per dar vita a una vera e propria messa in scena, che coinvolga il pubblico a tutto tondo”, ci racconta Claudia Colucci (responsabile editoriale di Ricamo editoriale), “La narrazione in quanto elemento chiave viene espresso su tre livelli: il racconto della storia, a rimarcare il ruolo della tradizione orale e di quanto ancora possa essere importante; la recitazione, dunque l’interpretazione del testo, perché attraverso la rappresentazione scenica si può trasportare ancor di più chi ascolta nella storia; il film, spezzoni di video, dove le immagini, le voci, gli sguardi, la regia completano il percorso dentro questo mondo sospeso che andremo a creare, attraverso la rinomata magia del cinema”.

Il prossimo appuntamento sarà venerdì 16 febbraio e vedrà protagonista il mitico Fantozzi. Oltre a questo verranno poi man mano svelati gli altri film/libri per un totale di cinque appuntamenti in cinque mesi sempre a Torino allo Spazio Opi.


Per saperne di più:
Ricamo Editoriale
Spazio Opi e Compagnia GenoveseBeltramo