Benvenuti nel mio privé

Ormai lo avrete capito: non mi piace parlare troppo di me, preferisco farlo attraverso i libri e usare le loro parole o le immagini per descrivere, a volte, la mia persona.

Ieri, però, è stata una giornata strana: la morte del calciatore Davide Astori mi ha fatto sentire subito l’esigenza di scrivere qualcosa di mio, così come facevo una volta quando ero scossa o irrequieta. Ho avuto l’impressione che tornare alla vecchia cara abitudine di sfogarmi con la scrittura fosse l’unico modo per aiutarmi a sciogliere quel nodo che ho in gola da troppe ore.

Benvenuti nel privé del Club dei Lettori Solitari: oggi vi parlo di me e del perché il lutto che ha colpito il mondo del calcio ha infiammato di nuovo quella ferita che mi è rimasta nel cuore.

Il lutto nello spettacolo del calcio

Ieri è morto un calciatore di serie A, ormai è noto: era il capitano della squadra per cui tifo, una brava persona, mai inadeguato, un volto pulito, compagno di una giovane ragazza, conosciuta nel mondo della televisione per aver partecipato a un paio di reality show, e padre di una bambina di due anni. È morto un giovane uomo, uno sportivo che si presume sia sano e forte.
Se siete qui per dirmi che il dispiacere dei tifosi di quella squadra e di tutto l’ambiente del calcio è eccessivo o a ricordarmi che ogni giorno muore qualcuno nelle stesse circostanze e nessuno ne parla, beh allora potete anche abbandonare questa pagina.

È proprio perché queste cose succedono ogni giorno alle persone normali che rimaniamo scossi quando succedono, invece, alle persone famose. Quelle che viste in tv, su un campo di calcio o sullo schermo di un cinema, sembra che appartengano a un altro pianeta, quello dove vivono le persone fortunate o, almeno, all’apparenza più fortunate di noi.

Nel prezzo del biglietto per lo show non è prevista la morte

Per questo motivo la morte di una persona famosa ci colpisce così tanto: la vita normale di ognuno di noi è già fatta di avvenimenti felici a volte, purtroppo, sconvolti da altri infelici. Il mondo dello spettacolo, dello sport e del calcio, in questo caso, sono lì proprio per farci emozionare positivamente: ci aspettiamo un film brutto, una canzone noiosa, una mancata qualificazione ai mondiali o una sconfitta contro la squadra con la quale abbiamo più rivalità, ma non ci aspettiamo di certo la morte. È un’intrusione della vita reale che non è prevista nel biglietto per quello spettacolo. È una porta in faccia che ti riporta dietro le quinte e ti mostra il retroscena dello show: non il capitano della Fiorentina, ma l’essere umano il cui cuore si è fermato inspiegabilmente.

La morte del vip ai tempi dei social

Al dolore del tifoso o anche solo della persona che, pur non seguendo il calcio, ha sentito la notizia, si aggiunge inoltre il voyeurismo incoraggiato dai social network. Quegli strumenti che, quando tutto va bene, ci avvicinano ai “famosi” svelando alcuni aspetti del loro privato. Ma quando le cose vanno male, come in questo caso, mettono a disposizione immagini che ci fanno provare un dolore inutile di cui avremmo potuto e voluto fare a meno.

Per chi ha un account Instagram è impossibile non essersi imbattuto in quel sorriso che ha riempito in pochi minuti i profili di amici, tifosi, colleghi.

“Scorrere quelle immagini è una pugnalata”, dice il giornalista sportivo Gianluca Di Marzio.

La mia ferita più dolorosa

“Sono quelle notizie che ti ricordano subito quali siano le priorita nella vita”, dice invece Stefano Meloccaro al tg sportivo sul canale Sky Sport, pochi minuti dopo aver dato questa spiacevole notizia.

Perché la morte di Astori mi fa così male? Non solo perché dovrebbe essere umano e normale dispiacersi per una tragedia del genere, ma perché un giorno di marzo di qualche anno fa, mentre mi preparavo per andare al lavoro e cantavo una canzone degli AC/DC con il pennello del fondotinta in mano, ricevetti un messaggio nel quale mi si diceva che la mia amica D., mia coetanea trentaduenne, nella notte, era morta. “Un infarto, dicono”, diceva quell’inaspettato sms.

È una notizia alla quale non si vuole credere, perché non è possibile che poche ore prima quel sorriso stesse illuminando l’intera stanza per poi spegnersi come se qualcuno avesse staccato l’interruttore, quello che, improvvisamente, ha spento tutto l’impianto centrale.
È un dolore che non si può descrivere, non si può accettare a trent’anni. È troppo presto.

La morte di D. è stato il primo grande trauma della mia esistenza, un punto e a capo, un ingresso nella vita adulta che è avvenuto come uno schiaffo in faccia ricevuto come a dire: “hey tu? Cosa stai combinando con la tua vita?”.
Non lo so cosa stessi aspettando, ma so solo che dopo un anno e mezzo è nato Leonardo e poi è arrivato tutto il resto.

L’empatia che sto provando in questi giorni nei confronti della giovane Francesca (compagna di Astori e madre della sua piccola Vittoria) potrebbe risultare inspiegabile, ma mettetevi nei miei panni, adesso che conoscete la premessa. A distanza di alcuni anni dal trauma posso affermare di conoscere quel dolore provato nelle vesti di amica, l’ho messo da parte e ogni tanto riaffiora, ma ha imparato a stare al suo posto. Per questo motivo non riesco neanche a immaginare cosa voglia dire provarlo da moglie e da madre, ora che anche io sono moglie e madre. Non credo sia sopportabile.

Non ci sono soldi, carriera, vita agiata che possano renderci felici così come dovrebbe farlo la vita stessa, vissuta in pieno, assaporando ogni momento, ogni emozione che la riempie. Bisogna essere grati ogni mattina quando apriamo gli occhi e ci aspetta solo una brutta giornata di lavoro o una sonora sconfitta contro la squadra con la quale abbiamo più rivalità.


Libro consigliato: Le otto montagne, di Paolo Cognetti