Cicogna - quasi tre

Una gravidanza a sorpresa

Cosa succede a una coppia molto vicina ai 50 in attesa del primo figlio?

Benedetta e Raffaele hanno ormai rinunciato a un bambino, ma all’improvviso arriva la notizia tanto attesa negli anni

Le premesse per una storia divertente c’erano tutte, ma la lettura di “Quasi tre” di Tommaso Avati (Fabbri Editori, 2018) non è stata quella che mi aspettavo. Ecco i motivi per cui “Quasi tre” no, non mi sei piaciuto.

Di cosa parla “Quasi tre”?

Benedetta e Lele sono una coppia di ultra quarantenni: la loro vita è caratterizzata da una routine, ormai consolidata, fatta di un lavoro che per entrambi non è sufficientemente soddisfacente, del sogno infranto di lei di avere un bambino e di quello di lui, forse ancora realizzabile, di trasformare in un film la sua sceneggiatura.

Il punto chiave della vita di entrambi è la delusione: tutta la loro vita di coppia e individuale sembra aver disatteso le aspettative, quelle che, forse, la presenza di un figlio avrebbe probabilmente reso meno elevate. Se ci fosse stato un bambino gli scarsi successi lavorativi sarebbero passati in secondo piano? Se ci fosse stato un bambino avrebbe cancellato i residui dei rapporti conflittuali con i genitori? Se ci fosse stato un bambino avrebbe contribuito al miglioramento del dialogo fra marito e moglie? 

La risposta probabilmente è sì. Perché a quarantasei anni, a sorpresa, Benedetta scopre di essere incinta e nelle settimane che precedono la prima ecografia, galvanizzati dalla notizia che aspettavano da anni, entrambi svoltano: Benedetta sputa in faccia alla madre tutto il rancore accumulato negli anni, inizia a fregarsene del lavoro, si riavvicina al marito; Lele, invece, è molto vicino alla nascita del suo primo film, dovrà solo cedere a una sola condizione, ossia accettare di “essere figlio di”. E, ovviamente, lo farà.

Perché non mi è piaciuto “Quasi tre”?

Il libro è diviso in tre grandi capitoli che raccontano il prima, il durante e il dopo. Il “prima” descrive i due protagonisti e precede la scoperta della gravidanza. Nella seconda e terza parte mi sarei aspettata di ritrovare le “disavventure esilaranti” presentate nella seconda di copertina, ma io di esilarante non ho trovato nulla.

Quello che ho trovato, invece, è stata tanta tristezza. Perché Benny e Lele sono oggettivamente una coppia in crisi che si trascina portandosi dietro la pesante assenza del “terzo”; l’arrivo di un bambino viene raccontato non come un lieto evento giunto a consolidare un amore, piuttosto come “la soluzione” a tutti i problemi. 

È a questo che “servono” i figli?

La gravidanza nel durante e nel dopo viene vissuta come lo stimolo che serviva per realizzare tutto ciò che mancava e che, alla fine, porta a galla tutti i problemi indirizzando moglie e marito verso percorsi individuali. 

Promossi e bocciati

Promosso lo spunto di riflessione che scaturisce nel momento in cui Lele domanda a se stesso e alla moglie quale sia il vero motivo per cui desiderano tanto diventare genitori. Ce lo siamo mai chiesto? 

Bocciate tante cose, a partire da un “qual è” scritto con l’apostrofo che pregiudica tutta la lettura. 

Bocciata la fretta con la quale Benedetta risolve i conflitti con la madre e la scarsa profondità con cui viene trattato il rapporto con il padre.

Bocciato perché inutilmente violento e alquanto fastidioso l’incontro fra Lele e la giornalista autrice dell’intervista del padre, futuro regista del film.

Infine non mi sento di bocciare del tutto l’autore: non so se si ci sia qualche elemento autobiografico nella storia, non so se sia padre, se voglia o se non possa esserlo. Quello che so è che è “uomo” e ha senza dubbio raccontato realisticamente il punto di vista maschile, ma non credo sia riuscito a esprimere davvero cosa provi una donna che nutre il desiderio di diventare madre. E forse ne è consapevole lui stesso avendo inserito, nel dialogo fra moglie e marito, un “tu non sei donna e non puoi capire”.

Solo una madre senza figlio può saperlo.